Scrivo questa Cartuccia di settembre da un posto che ho caro nel cuore: la valle di Anterselva. Da qualche anno passo le ultime vacanze qui, quelle che precedono “l’inizio della scuola” e concludono ufficialmente la mia estate.
L’ultimo respiro prima del tuffo.
Prenoto il solito appartamento, ormai da tre anni. L’arredamento è semplice, in legno, non servono molte cose quando hai un terrazzo e un paio di belle storie da leggere. La vista è proprio sulla valle, circondata dalle montagne, alte e verdi. Se allungo la mano dalla finestra della camera potrei toccare la roccia viva, su su in alto, tanto sembrano vicine.
Ogni giorno per due settimane ho provato a raggiungerle. Ma ci sono riuscita solo in parte, piccolissima a dirla tutta.
Avevo bisogno di stare qui per poterti scrivere: ora tu mi stai leggendo, ma io sono tornata alle solite giornate di lavoro e di allenamenti (di qualsiasi tipo, anche quello alla felicità) da un pezzo. La montagna mi è fondamentale per ridimensionare i miei pensieri e sempre più spesso sogno di trasferirmi da lei, un giorno, per trovare l’equilibrio che cerco.
La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.
La mia copia del libro “Le otto montagne” di Paolo Cognetti è sulla libreria dal settembre del 2017, anno in cui è stato pubblicato (ha vinto il Premio Strega nel 2018). Mi è stato regalato e se ne sta lì a osservarmi ormai da tempo: ritto in piedi, fiero di far parte dei libri che “mi mancano”. Ogni volta che faccio scorrere l’indice sui dorsi delle prossime letture da scegliere lui sembra dirmi “dai che questa è la volta buona”. Non ho mai avuto il coraggio di affrontarlo, non l’ho mai letto.
Poi, la scorsa estate davano il film omonimo al cinema all’aperto e sono andata a vederlo con i mie genitori, sperando in un po’ di frescura serale.
La storia è quella di Pietro e di Bruno, due ragazzini molto diversi che crescono vicini e poi lontani, fino a ritrovarsi in un’amicizia assopita che non ha bisogno di tante parole per rispiegarsi. E della Montagna, ovviamente, luogo d’esistenza e di resistenza. A lei si fa ritorno, nel girovagare della vita, per potersi incontrare di nuovo. Oppure non la si lascia mai, semplicemente perché cambiare sembra un atto stupido, vuoto, impossibile.
Della narrazione mi sono piaciuti i silenzi, osservarli e ascoltarli. Mi hanno sempre incuriosito quelle persone che, al contrario di me, usano il silenzio come forma di linguaggio. Comunicano con le pause, a occhi bassi sulle proprie mani. Si prendono il tempo per riflettere sulle parole da scegliere. Se esistono, se escono. Altrimenti non fa niente, c’è sempre la possibilità di non dire.
Mi trovo in un periodo emotivamente difficile. Forse uno di quei momenti di svolta della vita che a osservarli tolgono l’aria tanto sembrano insuperabili. Sì, quei momenti che sono una vera e propria montagna da scalare.
Per trovare una possibile via nel bosco più buio, io mi affido alla scrittura. Ancora una volta uso le parole, le mie, ma sai, non sempre sono la soluzione giusta: si sormontano come radici nascoste nel muschio, si avvinghiano nei pensieri come edera e licheni. Non fioriscono perché ne abuso, le privo del loro ossigeno, della loro linfa buona che le fa scorrere, rinnovare. Sono parole che urlano, che fanno male al mio silenzio.
Sono parole di cui non ho bisogno per raggiungere la cima, eppure non riesco a farne a meno.
Stavo imparando che cosa succede a uno che va via:
che gli altri continuano a vivere senza di lui.
Il Monte Sumeru
Secondo la leggenda nepalese delle Otto Montagne il mondo è un cerchio diviso in otto sezioni: al centro, il sacro Monte Sumeru è circondato da otto montagne e otto mari. Le otto montagne sono le diverse direzioni, le diverse vie che si possono percorrere nella vita. Il Monte Sumeru invece è la conoscenza del proprio sé: scalare questa montagna sacra vuol dire affrontare il proprio viaggio interiore, verso la comprensione di chi si è veramente nel profondo.
Ci sono persone che viaggiano tutta la vita intorno alle otto montagne, libere e consapevoli del proprio Sumeru. Di solito sono scrigni di sapere e di esperienze, hanno occhi e cuore contaminati irrimediabilmente dalla gioia degli incontri e dei nutrimenti che derivano da fonti altre.
E ci sono persone che prima di lasciare la propria “casa” per una direzione diversa, cercano di comprendere e dominare la propria esistenza, il proprio spirito. Per partire poi pronte a tutto Il Resto, al di fuori di sé.
Fino ad ora credo d’aver viaggiato per gli otto mari. Senza saper navigare, senza saper galleggiare, senza saper nuotare. Avvicinandomi di pochissimo ai piedi di una qualche montagna.
Il richiamo del Monte è (stato) sempre lì, lo riconosco, nitido. Muovo qualche passo verso di lui ma… quanto è facile, accessibile e agrodolce il sapore della resa?
Devo ripartire da me.
Avrà imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato in cima al monte Sumeru?

L’esercizio di scrittura che ti sto per proporre non ha a che fare strettamente con la scrittura, ma con la carta e la penna sì. E anche con i colori.
Devi sapere che se oggi sono una copywriter è perché ho conosciuto, anzi, ho conosciuto di nuovo -proprio come Bruno e Pietro- una cara amica che di professione è facilitatrice visuale. Ha voluto me, proprio me, per accostare ai suoi sketch le mie parole.
Con noi c’è anche un’illustratrice davvero forte (vedi immagine sopra), insieme ci chiamiamo RebelHands.
Questo per dirti che grazie al nostro lavoro insieme ho imparato qualcosa sul maneggiare disegni (anche quelli brutti, cioè i miei), colori e parole: vederli germogliare dalla nostra capacità -qualsiasi essa sia- su un foglio, snoda quegli ingorghi mentali, quei gomitoli emotivi, quei pugni all’altezza del pomo che ci pietrificano, ci bloccano, ci illudono -tanto sono dolorosi da mandar giù- che passeranno, prima o poi.
Quelli, prima o poi, ciclicamente tornano. Come la primavera, come l’autunno.
Quando hai completato il tuo disegno delle otto montagne con al centro Sumeru, posa il foglio sul pavimento e osservalo da sopra una sedia: la visione dall’alto facilita la comprensione del tutto.
Più in alto si va e più lontano si guarda. Questo è la montagna a ribadirlo.
Io sto disegnando le mie otto montagne, prima di affrontare la Me che dimora al centro.
"La montagna più alta rimane sempre quella dentro di noi"
(Walter Bonatti)
La scintilla: sali.
Sul tetto del tuo condominio se vivi in città. In quota se arrampichi, alla prima radura dopo il bosco se ti manca il fiato. Sali nella torretta disabitata sulla spiaggia, in inverno, e guarda il mare da lì. Prendi l’ascensore e chiedi al nuovo arrivato dell’ultimo piano se ti ospita in terrazzo per un aperitivo.
Sali. Elevati da dove sei.
Raggiungi un posto che ancora non conosci.
Respira forte e guarda lontano.
Questo pezzo lo ascolto spesso. Mi straccia l’anima e mi ricarica allo stesso tempo. Se non l’avessi ascoltato molti anni fa per la prima volta, non saprei davvero dove ritrovarmi oggi.
A guardare troppo da vicino, a volte, non ci si guadagna granché.
È di Fink.
Put your arms around somebody else
Don't punish yourself, punish yourself
Truth is like blood underneath your fingernails
And you don't wanna hurt yourself, hurt yourself
Looking too closely
Un’ultima cosetta…
Ho preparato un questionario per raccogliere informazioni sulla scrittura di chi mi legge. Sono poche domande sul tuo rapporto con la scrittura e sulla tua presenza digitale. A quale scopo, ti chiederai. Il mio obiettivo è capire meglio in che cosa posso esserti utile nella tua comunicazione, con il mio lavoro.
Ti andrebbe di dedicarmi qualche minuto?
Clicca sul bottone qui sotto, poi ti prometto che ci vediamo per un mojito virtuale!
GRAZIE GRAZIE GRAZIE!
Vuoi leggere qualcosa che ti faccia sorridere? Nel mio Mon-Key Blog scrivo di cose inutili che non interessano a nessuno. Perché c’è sempre un po’ di “nessuno” in ognuno di noi!